Nella mia "biblioteca" personale, trovano posto libri di diverso tipo, lo ammetto, potreste trovare roba da lacrima strappastoria, a poemi epici passando dai classici di King ed ovviamente serie di collezioni Urania, non mancano nemmeno libri che fanno della passione informatica una filosofia, uno di questi è "L'etica hacker" di Pekka Himanen, questo libro lo avrò letto milioni di volte, è un libricino che analizza il modo di vedere le cose secondo una mentalità hacker, non starò qui a parlare di tecnicismi e di altre amenità come se fosse un film del ragazzino che penetra le difese del pentagono, non si parla di questo, ma di semplici punti di vista che forse aiutano a capire perché mi rompo i coglioni ogni tanto pur facendo quello che a detta di molti è "ciò che mi piace"...vi riporto una parte del libro, tra le mie preferite. Con questo non sto qui a definirmi hacker, ma di certo non posso nemmeno definirmi in maniera cosi tanto diversa...
...Se usiamo la nuova tecnologia per favorire la centralità del
lavoro, tecnologie come quelle del telefono cellulare conducono
facilmente a una dissoluzione del confine tra lavoro e tempo libero
incentrata sul lavoro. Sia l'ottimizzazione sia la flessibilità del
tempo tendono a far diventare il sabato sempre più simile al venerdì.
Ma questo non è inevitabile. Gli hacker ottimizzano il tempo per
avere più spazio per il divertimento: Torvalds pensa che, mentre si
sta sviluppando Linux, ci debba sempre essere tempo per il biliardo o
per sperimentare programmi che non abbiano scopi immediati. Lo stesso
atteggiamento è stato condiviso dagli hacker fin dai tempi del Mit
degli anni sessanta. Nella versione hacker del tempo flessibile,
momenti diversi della vita come il lavoro, la famiglia, gli hobby
eccetera, sono combinati meno rigidamente, in modo tale che il lavoro
non sia sempre al centro della vita. Un hacker può raggiungere gli
amici a metà giornata per un lungo pranzo, poi recuperare il lavoro
nel pomeriggio tardi o il giorno successivo. A volte lui o lei
possono spontaneamente decidere di staccare per un'intera giornata
per fare qualcosa di completamente diverso. Il punto di vista
dell'hacker
è che l'uso delle macchine per l'ottimizzazione e la flessibilità
del tempo dovrebbe condurre a una vita meno meccanizzata, ottimizzata
e routinaria. Raymond scrive: "Per comportarsi come un hacker, ci si
deve credere [al fatto che le persone non debbano sgobbare per lavori
stupidi e ripetitivi] abbastanza da voler tagliar via automaticamente
il più possibile le parti noiose, non solo per se stessi ma per tutti
gli altri". Quando l'ideale degli hacker di un uso del tempo
maggiormente autodeterminato si realizza, il venerdì (la settimana
lavorativa) dovrebbe diventare più simile al sabato (il riposo) di
quanto non lo sia stato tradizionalmente.
Storicamente, ancora una volta questa libertà di autorganizzazione
del tempo ha il suo predecessore nell'accademia. L'accademia ha
sempre difeso la libertà di una persona di organizzarsi il tempo per
conto proprio. Platone definiva la relazione accademica nei confronti
del tempo affermando che una persona libera ha skhole, ovvero
"moltissimo tempo [...] e il tempo le appartiene". (21) Ma skhole non
significa soltanto "avere tempo", ma anche una certa relazione con il
tempo: una persona impegnata nella vita accademica poteva
organizzarsi il proprio tempo da sola: poteva combinare lavoro e
svago nel modo che preferiva. Anche se un individuo libero poteva
impegnarsi a fare certi lavori, nessun altro possedeva il suo tempo.
Non avere la responsabilità del proprio tempo, askholia, veniva
associato a uno stato di prigionia (o di schiavitù).
Nella vita preprotestante, perfino al di fuori dell'accademia, le
persone avevano una maggiore responsabilità del loro tempo rispetto
al periodo successivo alla Riforma protestante. Nel suo libro Storia
di un paese: Montaillou, Emmanuel Le Roy Ladurie traccia un
affascinante ritratto della vita in un villaggio medievale nel
passaggio dal Tredicesimo al Quattordicesimo secolo. Gli abitanti di
Montaillou non avevano alcun modo per definire il tempo in maniera
esatta. Quando ne parlavano, usavano espressioni vaghe, dicendo che
qualcosa era successo "nella stagione in cui gli olmi hanno le
foglie", oppure che per fare qualcosa era stato necessario "il tempo
di due Paternoster". (22) A Montaillou non c'era bisogno di
misurazioni più precise del tempo, in quanto le attività del
villaggio non procedevano secondo un ritmo lavorativo regolare.
Le Roy Ladurie continua: "I montalionesi non si tirano indietro di
fronte a una grossa necessità e, quando bisogna, fanno una faticata
[...]. Ma la nozione di orario continuato resta loro estranea [...].
Concepiscono la giornata lavorativa soltanto se intervallata da
lunghe e irregolari pause, durante le quali si chiacchiera con un
amico, trasportando e bevendo vino [...]. A queste parole, disse
Armand Sicre, riposi il mio lavoro e andai da Guillemette Maury
[...]. E ancora lo stesso Arnaud, Pierre Maury mi fece cercare nella
bottega dove facevo delle scarpe [...]. Guillemette mi fece dire di
andare da lei, cosa che feci [...]. Oppure: Sentendo ciò, lasciai il
lavoro che stavo facendo". (23)
In larga misura, a Montaillou era ancora il lavoratore, e non
l'orologio, a determinare il ritmo. Oggigiorno, un calzolaio che
decida di smettere il lavoro e di andarsi a bere un bicchiere di vino
con un amico nel bel mezzo della giornata sarebbe licenziato, a
prescindere dal numero di scarpe prodotte e dalla qualità del lavoro.
E ciò perché i lavoratori della nostra epoca non godono più della
stessa libertà di disporre del proprio tempo di cui un ciabattino o
un pastore godevano nel "buio" Medioevo. Naturalmente, nessuna
descrizione del lavoro medievale è completa senza parlare della
schiavitù della gleba, ma al di fuori di questa importante eccezione
possiamo dire del lavoro medievale che, purché si raggiungessero
obiettivi ragionevoli, nessuno sorvegliava l'uso che i lavoratori
facevano del proprio tempo.
Soltanto nei monasteri l'attività era legata all'orologio, quindi,
ancora una volta, il precedente storico dell'etica protestante può
essere trovato in tale ambito. Infatti, se scorriamo le regole
monastiche, spesso si prova la sensazione di leggere una descrizione
delle norme aziendali dominanti nel nostro tempo. La regola di
Benedetto ne è un buon esempio. Essa insegnava che gli schemi della
vita devono essere "ripetuti sempre [...] alla stessa ora e alla
stessa maniera". (24) Queste ore erano le sette ore d'ufficio
canoniche (horas officiis): (25)
lba: laudi (laudes)
9.00: prima (prima)
mezzogiorno: sesta (sexta)
15.00: nona (nona)
18.00: vespri (vespera)
crepuscolo: compieta (completorium, il completamento della giornata)
notte: mattutino (matutinae).par Queste ore canoniche
circoscrivevano il tempo per tutte le attività. L'orario di sveglia
era sempre lo stesso, così come l'ora di andare a letto. (26) Anche
al lavoro, allo studio e ai pasti venivano assegnati orari precisi.
Secondo la regola di Benedetto, ogni scostamento dagli orari
quotidiani stabiliti doveva essere punito. Il dormire troppo veniva
condannato: "A meno che - non sia mai! - si alzino tardi". (27) A
nessuno era permesso di concedersi spontaneamente una pausa per uno
spuntino: "E nessuno si permetta di prendere qualcosa da mangiare o
da bere prima dell'ora stabilita o dopo". (28) Non presentarsi
all'inizio delle sacre ore d'ufficio veniva punito: (29) l'unica
eccezione alla richiesta di sollecitudine assoluta nei riguardi delle
ore d'ufficio era la preghiera notturna, alla quale si poteva
arrivare a qualsiasi ora fino alla lettura del secondo salmo. (30)
L'etica protestante portò l'orologio fuori dal monastero fin dentro
la vita quotidiana, dando origine al concetto di lavoratore moderno e
alla nozione di posto e di orario di lavoro a esso associati.
Dopodiché, le parole dell'autobiografia di Franklin si applicano a
tutto: "A ogni parte del mio lavoro dovevo dedicare tutto il tempo
che fosse necessario". (31)
Nonostante le nuove tecnologie impiegate, l'economia
dell'informazione è basata prevalentemente sulle ore d'ufficio, senza
lasciare spazio alle variazioni individuali.
Questo è uno strano mondo, e gli adeguamenti a esso non si sono
verificati senza una forte resistenza. Nel suo articolo Time,
Work-Discipline, and Industrial Capitalism (1967), (32) lo storico
sociale Edward Thompson descrive le difficoltà incontrate nella
transizione al lavoro industriale. Egli nota che gli agricoltori
medievali, per esempio, erano abituati a un tipo di lavoro suddiviso
in mansioni. Nel loro pensiero tradizionale l'essenziale risiedeva
nel portare a termine la mansione. Il tempo poneva dei limiti
esterni, ma, all'interno di essi, ci si poteva occupare dei vari
compiti secondo le inclinazioni personali. Il lavoro industriale,
d'altra parte, era orientato al tempo: il lavoro veniva definito dal
tempo impiegato per svolgerlo. Era l'idea di definire un rapporto tra
il lavoro e il tempo e non con il lavoro in sé che coloro che vissero
in età preindustriale trovavano estranea, e contro la quale opposero
resistenza.
Ciò che la tecnologia dell'informazione fa intravedere è la
possibilità di una nuova forma di lavoro orientata alle mansioni. Ma è
importante ricordare che questo non accade automaticamente. Infatti,
il paradosso è che al momento questa tecnologia viene usata per una
maggiore supervisione del tempo, per esempio attraverso meccanismi
come il cartellino da timbrare. (L'assurdità di questa applicazione
tecnologica mi fa venire in mente un mese assai istruttivo trascorso
nell'India in via di industrializzazione. Durante le mie passeggiate
quotidiane, iniziai a notare gli spazzini che stavano dalla mattina
alla sera agli angoli delle strade, senza che queste fossero più
pulite. Quando espressi la mia perplessità a un amico indiano e
chiesi perché i responsabili di questi spazzini non si lamentassero
della situazione, lui mi rispose che avevo considerato la questione
da una prospettiva completamente sbagliata. Avevo erroneamente
ritenuto che il compito dello spazzino indiano fosse quello di
spazzare le strade, ma, precisò lui, il suo lavoro non consiste nello
spazzare la strada; è invece quello di esistere impeccabilmente in
quanto potenziale spazzino! Questa è una bella espressione valida
anche per l'ideologia che sta alla base del cartellino da timbrare. I
più raffinati sistemi per controllare il tempo che io abbia visto
sottintendono dozzine di codici di comportamento personale con i
quali indicare tutte le sfumature delle impeccabili esistenze della
gente che li usa, compreso lo stato del loro sistema digestivo - che è
la principale giustificazione delle pause di lavoro. Questo è un uso
della tecnologia orientato al tempo nella forma più pura possibile.)
...
Il ritmo della creatività:
innegabile il fatto che oggigiorno i manager si concentrino ancora troppo sui fattori esterni al lavoro, come il tempo e il luogo in cui si trova il lavoratore, invece di esortare a quella creatività da cui dipende il successo di un'azienda nell'economia dell'informazione. La maggior parte dei dirigenti non ha capito le profonde conseguenze della seguente domanda: Il nostro scopo sul lavoro è quello di "passare il tempo" o di fare qualcosa? Nei primi anni settanta Les Earnest, del laboratorio di intelligenza artificiale dell'Università di Stanford, ci ha fornito un efficace compendio della risposta degli hacker a questa domanda: "Noi cerchiamo di giudicare la gente non da quanto tempo spreca ma dagli obiettivi che raggiunge in periodi di tempo abbastanza lunghi, da sei mesi fino a un anno". (33) Questa risposta può essere compresa in termini sia puramente pragmatici sia etici. Il messaggio pragmatico è che la fonte più importante di produttività dell'economia dell'informazione è la creatività, e non è possibile creare cose interessanti in condizioni di fretta costante o con un orario regolato dalle nove alle cinque. Quindi, perfino per ragioni puramente economiche, è importante permettere la giocosità e gli stili di creatività individuali, dal momento che, nell'economia dell'informazione, la cultura della supervisione si rivolta facilmente contro gli obiettivi che si è prefissata. Naturalmente, bisogna aggiungere un'importante condizione: nella realizzazione di un progetto tipico di una cultura orientata alle mansioni, i programmi prefissati non sono a termine troppo breve - non sono le scadenze inappellabili di una vita di sopravvivenza - in modo da permettere lo sviluppo di una vera opportunità per il ritmo creativo. Ma, naturalmente, la dimensione etica richiesta è ancora più importante di queste considerazioni pragmatiche: stiamo parlando di una vita degna di essere vissuta. La cultura della supervisione dell'orario di lavoro considera gli adulti come persone troppo immature per essere responsabili delle proprie vite. Presuppone che in qualsiasi impresa o agenzia governativa esistano soltanto poche persone che siano sufficientemente mature per assumersi le proprie responsabilità, e che la maggioranza degli adulti non è in grado di farlo senza una guida continua fornita da un ristretto gruppo di autorità. In una cultura del genere, la maggioranza degli esseri umani si trova condannata all'obbedienza. Gli hacker hanno sempre rispettato l'individuo. Sono sempre stati antiautoritari. Raymond definisce la posizione degli hacker in questi termini: "L'atteggiamento autoritario deve essere combattuto dovunque sia, affinché non soffochi te e gli altri hacker". (34) L'etica hacker ci ricorda anche - data la riduzione del valore individuale e della libertà che si verifica in nome del "lavoro" - che la nostra vita è qui e ora. Il lavoro è una parte della nostra vita in continuo divenire, nella quale ci deve essere spazio anche per altre passioni. Innovare le forme di lavoro è una questione di rispetto non soltanto nei confronti dei lavoratori ma anche per gli esseri umani in quanto tali. Gli hacker non fanno proprio l'adagio "il tempo è denaro", ma piuttosto "la vita è mia". E certamente adesso questa è la nostra vita, che dobbiamo vivere pienamente, e non una versione "beta" ridotta.
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Il ritmo della creatività:
innegabile il fatto che oggigiorno i manager si concentrino ancora troppo sui fattori esterni al lavoro, come il tempo e il luogo in cui si trova il lavoratore, invece di esortare a quella creatività da cui dipende il successo di un'azienda nell'economia dell'informazione. La maggior parte dei dirigenti non ha capito le profonde conseguenze della seguente domanda: Il nostro scopo sul lavoro è quello di "passare il tempo" o di fare qualcosa? Nei primi anni settanta Les Earnest, del laboratorio di intelligenza artificiale dell'Università di Stanford, ci ha fornito un efficace compendio della risposta degli hacker a questa domanda: "Noi cerchiamo di giudicare la gente non da quanto tempo spreca ma dagli obiettivi che raggiunge in periodi di tempo abbastanza lunghi, da sei mesi fino a un anno". (33) Questa risposta può essere compresa in termini sia puramente pragmatici sia etici. Il messaggio pragmatico è che la fonte più importante di produttività dell'economia dell'informazione è la creatività, e non è possibile creare cose interessanti in condizioni di fretta costante o con un orario regolato dalle nove alle cinque. Quindi, perfino per ragioni puramente economiche, è importante permettere la giocosità e gli stili di creatività individuali, dal momento che, nell'economia dell'informazione, la cultura della supervisione si rivolta facilmente contro gli obiettivi che si è prefissata. Naturalmente, bisogna aggiungere un'importante condizione: nella realizzazione di un progetto tipico di una cultura orientata alle mansioni, i programmi prefissati non sono a termine troppo breve - non sono le scadenze inappellabili di una vita di sopravvivenza - in modo da permettere lo sviluppo di una vera opportunità per il ritmo creativo. Ma, naturalmente, la dimensione etica richiesta è ancora più importante di queste considerazioni pragmatiche: stiamo parlando di una vita degna di essere vissuta. La cultura della supervisione dell'orario di lavoro considera gli adulti come persone troppo immature per essere responsabili delle proprie vite. Presuppone che in qualsiasi impresa o agenzia governativa esistano soltanto poche persone che siano sufficientemente mature per assumersi le proprie responsabilità, e che la maggioranza degli adulti non è in grado di farlo senza una guida continua fornita da un ristretto gruppo di autorità. In una cultura del genere, la maggioranza degli esseri umani si trova condannata all'obbedienza. Gli hacker hanno sempre rispettato l'individuo. Sono sempre stati antiautoritari. Raymond definisce la posizione degli hacker in questi termini: "L'atteggiamento autoritario deve essere combattuto dovunque sia, affinché non soffochi te e gli altri hacker". (34) L'etica hacker ci ricorda anche - data la riduzione del valore individuale e della libertà che si verifica in nome del "lavoro" - che la nostra vita è qui e ora. Il lavoro è una parte della nostra vita in continuo divenire, nella quale ci deve essere spazio anche per altre passioni. Innovare le forme di lavoro è una questione di rispetto non soltanto nei confronti dei lavoratori ma anche per gli esseri umani in quanto tali. Gli hacker non fanno proprio l'adagio "il tempo è denaro", ma piuttosto "la vita è mia". E certamente adesso questa è la nostra vita, che dobbiamo vivere pienamente, e non una versione "beta" ridotta.